L’11 ottobre, con i contagi che avevano toccato il minimo di 1.516 casi, sembrava che il nostro Paese di fosse praticamente lasciato alle spalle il Covid. A distanza di poco più di 1 mese, invece, siamo nuovamente oltre i 10.000 casi al giorno: bel lontani dalla Germania, per rimanere ad un Paese non lontano da noi e da sempre esempio di efficienza e rigore, dove ieri sono stati superati i 54.000 nuovi contagi, con la Cancelliera Merkel che non ha esitato a definire “drammatica” la situazione, ma comunque numeri che tornano a preoccupare e a creare un allarme diffuso. Preoccupazioni che non riguardano solo la situazione ospedaliera, di nuovo sotto pressione, ma anche la tenuta della ripresa: nuove chiusure, soprattutto con l’avvicinarsi del periodo natalizio, avrebbero ricadute pesanti sull’attività economica nel periodo più favorevoli per le vendite al dettaglio. Diventano quindi attuali le discussioni sui provvedimenti da attuare per rallentare la nuova ondata, con il “modello Austria” cha fa parlare di sé (restrizioni e lockdown per coloro che non si sono ancora vaccinati).
Se la situazione non dovesse migliorare, il rischio di un rallentamento dell’economia potrebbe portare le Banche Centrali a rinviare ulteriormente decisioni a riguardo di un inasprimento delle politiche monetarie. Tema che riguarda da vicino gli USA, con la FED ormai prossima all’avvio del tapering (riduzione degli acquisti di titoli governativi e bond legati ai mutui) per $ 15 MD mese. La forte crescita dell’inflazione, accompagnata dall’esuberanza, in questi mesi, dell’economia, sappiamo essere la causa del cambiamento di “paradigma” da parte delle autorità monetarie.
In effetti, si sono spesi confronti con altre fasi in cui l’economia si stava “surriscaldando”, con l’inflazione che aveva raggiunto livelli assolutamente pericolosi, spesso superiore alle 2 cifre (negli anni 70, con il doppio shock petrolifero, o negli anni 90, quando si verificò l’ultima vera “bolla” inflattiva). Paragoni assolutamente veri se si parla del livello di inflazione, ma assolutamente fuorviante se si pensa alla situazione più in generale.
Se parliamo, per esempio, del costo del denaro, le cose sono profondamente diverse: nel 1990 il costo del denaro fissato dalla Federal Reserve era pari all’8,3%, mentre oggi siamo a zero (per non parlare dell’Europa, dove sono sotto zero, con l’€uribor a 3 mesi che si trova stabilmente a – 0,55%). E quel che più conta, come peraltro scritto in precedenti note, è che sono i tassi reali a trovarsi in territorio negativo. Trent’anni fa il tasso della FED era superiore all’inflazione: era sufficiente, quindi, comprarsi un Treasury per “coprirsi”, e quindi ottenere un rendimento che permettesse di non subire perdite in termini reali. Oggi la situazione è ben diversa: in USA i rendimenti reali sono ai minimi di sempre, ben sotto lo zero (– 1.40/45%), mentre da noi siamo in condizioni ancora peggiori (il bund ha già di suo un rendimento negativo nell’ordine del – 0,25%).
Diventa quindi sempre più difficile la ricerca di “valore” negli investimenti: di certo quello che una volta era l’asset difensivo per eccellenza, e quindi quello dei titoli obbligazionari, oggi forse nasconde più insidie di quelli che, teoricamente, dovrebbero avere una volatilità (e quindi un livello di rischio) ben maggiore, quale tipicamente è il mondo delle azioni. Per non parlare della liquidità ferma sui conti, dove si “perde” in partenza, vista l’impossibilità di ottenere rendimenti in grado di “remunerare” almeno l’inflazione.
Tutte cose che senza dubbio rientreranno nei confronti e nelle discussioni che sta portando avanti il Presidente Biden, chiamato nei prossimi giorni a nominare chi guiderà la FED. La rosa dei candidati è ristretta all’attuale Presidente Jerome Powell, nominato da Trump, e Lael Brainard, democratica, già sottosegretaria al Tesoro durante la Presidenza di Barack Obama.
Giornata abbastanza complicata per i mercati asiatici: Nikkei a – 0,30%, Shanghai – 0,47%, Hong Kong – 1,4% (dopo che aveva toccato anche – 3%), appesantito dai titoli tech, con Baidu, la “Google” cinese in forte ribasso dopo aver presentato dati meno brillanti delle attese.
Futures marginalmente positivi a Wall Street, mentre lo sono in negativo in Europa.
Pesante il petrolio, con il WTI che continua la propria discesa, portandosi a $ 76,69 (- 1,20%). In ripresa il gas naturale, che si riporta a $ 4,9 (+ 1,56%).
Stabile l’oro, che conferma i $ 1.867.
Spread a 121 bp, con il rendimento BTP che “non si schioda” dall’area 1%: probabilmente il riaccendersi del dibattito politico in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica (che comprende, evidentemente, la riconferma o meno di Draghi alla Presidenza del Consiglio) sta consigliando “cautela” agli investitori.
In recupero il Treasury, che si riporta sotto 1.60% (1,58%).
$ sempre forte, a 1,1335 vso €.
Bitcoin in cerca di stabilità appena sotto i $ 60.000 (59.660).
Ps: continua il silenzio intorno alla campionessa di tennis cinese Peng Shuai, già n. 14 al mondo nella classifica WTA (ma n. 1 nel doppio), di cui non si hanno più notizie da più di 15 giorni. Pare che in passato abbia avuto una relazione con Zhang Gaoli, vice Premier cinese dal 2014 al 2018. Il 2 novembre aveva pubblicato un post in cui accusava di essere stata costretta ad intrattenere con lui una relazione segreta. Da quel momento si sono perse le sue tracce. Nulla di nuovo, forse, per la Cina. Ma non per il resto del mondo.